OPUS/3
Collana de La Sapienza diretta da Roberto Cassetti e Marcello Fagiolo
Comitato scientifico: Emanuela Belfiore, Beatriz Blasco Esquivias, Giovanni Carbonara, Roberto Cassetti, Joseph Connors, Marcello Fagiolo, Francesco Paolo Fiore, Paolo Portoghesi, Franco Purini, Marco Romano, Samir Younés
Questo libro è il primo di una trilogia che analizza le trasformazioni dello scenario urbano della capitale e della sua regione dall’Unità d’Italia ai giorni nostri: si tratta di un periodo cruciale per Roma e per il Lazio – comune, se pur con tempi diversi a tutte le grandi metropoli dei paesi occidentali – : quello del passaggio da un’organizzazione dello spazio di tipo premoderno a quello della prima modernità. Questo passaggio, che si colloca in Italia tra la fine dell’Ottocento e le soglie della seconda guerra mondiale, segna la transizione da una città compatta e funzionalmente mista e da un territorio in cui ciascun centro è isolato dall’altro, ad una città articolata in tessuti diversi e specializzati, e ad un territorio in cui i centri urbani cominciano a legarsi tra loro in insiemi e a confluire su di essa. Su questo argomento finora ha dominato una corrente storiografica che vedeva la regione come separata dalla città, e dava di quest’ultima, per convinzione, poi per moda o per prigrizia mentale, un’interpretazione unilaterale filtrata dai principi e dai dettami spaziali dell’urbanistica moderna. Secondo quest’ottica, eretta ad una sorta di credo, la forma urbana di questo periodo – le emergenze, i tessuti edilizi, lo spazio urbano – era da rigettare in toto, per cui lo sviluppo urbano era da esaminare solo come fenomeno quantitativo e le sue cause andavano ricercate esclusivamente nel fenomeno della rendita fondiaria. Era uno sviluppo che rompeva gli equilibri precedenti – idealizzati – senza crearne di nuovi, perché ad essi non veniva attribuito alcun valore. Questo predominio culturale è giunto al punto di far dimenticare e ridurre al silenzio il pensiero urbano del periodo, giudicando con disprezzo la città che ne è scaturita (per non parlare degli interventi sulla città esistente bollati sempre e soltanto come sventramenti”). Così le realizzazioni urbanistiche, non esaminate dal punto di vista formale e funzionale, sono state avulse dal loro contesto sociale, dai bisogni e dalle aspirazioni della società, dagli stili di vita del loro tempo e sono state oggetto semplicemente di un giudizio ideologico. Un intero periodo storico è stato di fatto marginalizzato, ne sono state tagliate le radici, i principi, i valori simbolici. Questa marginalizzazione o meglio la marginalizzazione dei processi di organizzazione e formalizzazione dello spazio urbano che connettono la città contemporanea a quella dei periodi precedenti è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani di questo dopoguerra. Ma c’è di più. Nel frattempo la città, da cui traeva ragione tale corrente storiografica, si è ulteriormente trasformata: la separazione tra Roma e la sua regione che ancora negli anni Sessanta faceva parlare di un insieme di realtà disomogenee ora non esiste più. La capitale si è dissolta in una vera e propria regione urbana (un sistema di città, di tessuti, di brani insediativi funzionalmente policentrico, intrecciato ad una grande galassia agricola ed interconnesso saldamente da un fitto sistema di reti) che rende di fatto la città e la regione un grande insieme unitario, che va esaminato in quanto tale. E anche il pensiero urbanistico è cambiato: si è fatta strada in tutta Europa una critica serrata al Movimento moderno che ha portato a rivalutare la spazialità della città otto-novecentesca fino alla seconda guerra mondiale, con le sue grandi attrezzature immerse nel tessuto urbano e con l’importanza strutturante dei suoi tracciati viari che costituiscono spazi di vita vivi e vitali. Lo schema di pensiero degli anni Sessanta che analizzava questo tipo di città soltanto in termini di occupazione edilizia e di speculazione delle aree e la isolava dal territorio circostante non è dunque solo un modello arbitrario, metastorico, che può essere compreso ma non più accettato, ma è anche inadatto ormai, e questo è il fatto più importante, a capire le radici del mondo attuale, che non nasce dal nulla, ma proprio in questo periodo pone tutte le sue più importanti basi. E’ venuto il momento perciò di riesaminare tutto il panorama del periodo della città e del territorio otto-novecenteschi. Non è un problema di storia locale, ma di ritessere le fila dell’evoluzione dello spazio antropizzato in un secolo cruciale, di cui Roma e la sua regione costituiscono uno spaccato fondamentale: di capire in altri termini i principi della composizione della città e del territorio, riunendoli in una sintesi storica generale del contesto socio economico e spaziale e di rintracciare in questo secolo, nei limiti in cui è ragionevole farlo, le radici del mondo contemporaneo. Questo è lo scopo di questo libro: non di avviare uno studio esaustivo della capitale e della sua regione nel periodo, di riassumere episodi urbani ed edilizi singolarmente ampiamente analizzati, ma di studiare i mutamenti della forma urbana, della sua struttura funzionale, dello spazio urbano, dei legami tra gli insediamenti, connettendoli alla struttura della società e dell’economia, per capirne e spiegarne il posto nella storia, per rintracciare le radici del nostro presente nel terreno del passato. Soprattutto si è cercato di vedere il passato come un tutto coerente, di cui la forma urbana è espressione.
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